lunedì 30 novembre 2015

Edipo e il suo complesso

Nella Psicoanalisi il mito ha un ruolo particolarmente importante perché rappresenta quello strumento attraverso cui è possibile dire e vivere emotivamente quello che, altrimenti, risulterebbe troppo amaro da mandar giù per la nostra coscienza. 
Già, nell’antica Grecia, la Tragedia si riteneva avesse funzione catartica, ossia purificatrice; Eschilo, Sofocle (autore dell’Edipo re) ed Euripide furono i principali autori del genere in quel periodo (400 a.C. circa). Veniva sviluppata una trama di eventi emotivamente forti per lo spettatore, ma il fatto che fosse una finzione, poteva essere rassicurante o comunque dava la possibilità di vivere la propria angoscia in terza persona, e quindi in modo più critico, assistendo alla rappresentazione scenica di esse.
E'un po’ quello che Freud stesso mette alla base del trattamento analitico nella sua teoria, sostenendo quanto sia importante riuscire a rivivere, nella relazione analitica, la Nevrosi, cioè tutto ciò che, in una persona, viene espresso e si può ricondurre ad un conflitto psichico (S. Freud, Ricordare, ripetere, rielaborare, 1914).
Tornando al mito, in particolare il mito di Edipo, su cui lo stesso Freud ha costruito buona parte della sua teoria: è ormai noto a tutti, almeno lontanamente,il “complesso” (un insieme di pensieri, ricordi, esperienze, sentimenti ed emozioni) che ne deriva e che viene utilizzato per spiegare il legame e il dissidio che si crea in un bambino con i propri genitori.
Edipo, figlio di Laio, il re di Tebe, e di Giocasta, fu fatto portare via da un servo e allontanato dal regno, per ordine dello stesso Laio. Questi, aveva consultato l’Oracolo di Delfi (una specie di cartomante che era molto tenuto in conto a quell’epoca) proprio perché, angosciato all’idea di non riuscire ad avere un erede. L’Oracolo predisse che il figlio che Laio avrebbe avuto, sarebbe stato causa della di lui morte e avrebbe in seguito sposato sua madre. 
Edipo fu trovato da un pastore di Corinto e portato a corte, dove venne allevato come fosse il figlio del re. In qualche modo, una volta cresciuto, al nostro eroe venne instillato il dubbio sulle sue origini e ciò lo indusse a recarsi presso l’Oracolo per avere chiarezza. Questo non fece che confermare la versione già esposta a Laio. La reazione di Edipo fu analoga; inorridito all’idea di uccidere chi lo aveva allevato con amore, egli si allontanò da Corinto e fuggì verso Tebe. Lungo il percorso s’imbatté in Laio, ignaro, ovviamente, di chi fosse colui con cui aveva a che fare. Questo, in quanto re, chiese strada ad Edipo che non volle farsi da parte; di lì a poco ne scaturì un confronto fisico in cui Edipo causò la morte del suo padre reale, realizzando così la prima parte della profezia dell’Oracolo di Delfi. 
Edipo riprese così il suo percorso verso Tebe, ma, prima di arrivare in città, trovò sulla sua strada la Sfinge, una creatura con il corpo di un leone, la testa di una donna, ali di aquila e un serpente per coda; si trattava di un mostro famelico che tormentava la gente di Tebe con terribile indovinello, che chiedeva di risolvere a tutti coloro che incappavano in lei. Qualora ella non avesse ricevuto una soluzione al suo quesito, avrebbe divorato il malcapitato. L'impresa che fa si che Edipo venga considerato un eroe, sta proprio nel fatto che fu l'unico a dare una soluzione all'enigma della Sfinge. Questa chiedeva chi fosse quell'essere che al mattino si muove su quattro zampe, durante la giornata con due e sul calar della sera inizia a muoversi su tre. Edipo non ebbe dubbi e prontamente rispose che si trattava dell'Uomo. Difatti questo, da bambino gattona, su quattro zampe, raggiunto l'equilibrio si muoverà sule sue due gambe per tutta l'età adulta, fino a che,  da  vecchio, non dovrà ricorrere all'aiuto del bastone. La soluzione del quesito pose fine al tormento per il popolo tebano e Creonte, fratello di Laio che nel frattempo aveva preso le redini del regno, proclamò Edipo re di Tebe, che, di conseguenza,  sposò Giocasta, portando a compimento la profezia dell'Oracolo. 
In realtà il mito è leggermente più complesso e articolato e porterà alla morte di Edipo, ma Freud prende spunto da questo fatterello, qui riassunto, per poter spiegare quello che si verifica, secondo la sua teoria, in termini di dinamiche familiari, quando nasce un bambino. Cerchiamo di cogliere i significati simbolici della storia adattandoli alla realtà.
C'è una coppia (Laio e Giocasta) desiderosa di avere un figlio. Lui, uomo narciso ed egocentrico (re) nel piccolo regno della coppia in cui ogni cosa brilla di sua luce, inizia a sospettare (Oracolo di Delfi come pensiero inconscio) che nel momento in cui dovesse nascere un figlio maschio, il suo primato verrebbe sicuramente meno (un erede per Laio significherebbe potenziale perdita del potere, vecchiaia e morte). Il bimbo viene alla luce e coglie tutte le attenzioni della mamma, stimolando gelosia nel papà (Laio ripudia Edipo). Con la crescita del bimbo, gradualmente il confronto diventa inevitabile anche perché anche il piccolo sente il papà come un rivale rispetto alla mamma (Edipo incontra l'impudente Laio sul suo cammino e si apre una disputa); per cui nasce un implicita contesa tra i due. Il bimbo ne esce vincitore (Laio muore per mano di Edipo); la mamma deve necessariamente proteggere suo figlio in quanto piccolo (Edipo sposa Giocasta). 


E la Sfinge? Le interpretazioni possono essere più di una, come d'altra parte per il resto della storia, ma di fatto la Sfinge è solita essere identificata con quell'iniziale presa di coscienza che consente al bambino di aprire gli occhi e accorgersi che sta crescendo e che la mamma gradualmente si distaccherà, per cui l’aver avuto la meglio sul padre è solo una vittoria provvisoria. La soluzione dell'enigma, e quindi  rigenerarsi, rispetto all'idea di sentirsi una nullità senza la mamma, non è che l'apertura al mondo, in cui, scoperto il valore della conoscenza delle cose della vita, emergono aspetti positivi, ma anche aspetti negativi.


N.B.
Le immagini sono tratte dalla voce EDIPO in WIKIPEDIA 

giovedì 5 novembre 2015

Il costo dell'analisi

Argomento anche questo particolarmente dibattuto e chiacchierato, soprattutto di questi tempi, in cui tutto sembra così faticoso da conquistare economicamente, a cominciare dalla propria salute.

L’analisi ha, e deve avere, un costo, prima di tutto concreto. 
Il legame che si crea tra le due persone che vivono l’esperienza dell’analisi è particolarmente intenso e, a volte, raggiunge dei livelli di intimità e profondità, molto difficili da sperimentare in altre situazioni analoghe. 
Il fatto è che, trattandosi comunque di una situazione lavorativa per l’analista e di una consulenza professionale richiesta dall’analizzando, è necessario fare in modo che il tutto, per quanto sentito emotivamente ed affettivamente, debba avere una base concreta cui aggrapparsi per non de-generare. Significa che deve potersi sentire una certa distanza tra i due, che può essere garantita solo da elementi molto formali e concreti ed in questo caso il dio Denaro fa proprio al caso!

Immaginiamo una seduta in cui si produce l’interpretazione di un sogno molto significativo. Quando dico “si produce” voglio proprio intendere che si genera, come tutte le situazioni nell’analisi, dal lavoro e dal rapporto tra i due personaggi presenti in carne ed ossa nella seduta analitica. Questo, almeno per quanto riguarda l’analizzando, è difficilmente percepibile come “lavoro di gruppo” e c’è molto la tendenza ad attribuire all’analista onori ma anche oneri…
In questo senso ciò che ne consegue è un sentimento di forte coinvolgimento affettivo, per cui l’analista (così comprensivo!) non è più vissuto come un estraneo. Ecco qua che, a fagiolo, cade la resa dei conti e si smorza molto di tutto questo sentire. Poi, comunque esiste sempre un livello che riesce a superare anche questi aspetti pragmatici e si annulla, spesso, anche l’effetto del denaro; ma oserei dire che si tratta di un momento in cui, in primis, l’analisi è sufficientemente evoluta e si è creato un legame forte tra analizzando e analista ed in secondo luogo è oggettivamente impossibile riuscire a tener fuori o sotto controllo gli affetti, sia per quanto riguarda l’uno, che per l’altro.  
Ecco qui che le prestazioni gratuite, sono sempre percepite in qualche modo pericolose a prescindere poi che si mantenga un setting psicoanalitico o meno, in quanto possono essere solo portatrici di rapide rotture.

Ci sono situazioni, in cui pensare di potersi permettere un’analisi è veramente difficile, perché per quanto un analista possa tenere bassa o commisurata la propria tariffa, ci si scontra sempre con mille difficoltà. Tutto è molto legato sia alla reale motivazione che esiste a fare un’analisi sia a fattori realistici e spesso imprevedibili. 
D’altra parte, un analista vuole poter svolgere la propria funzione senza condizionamenti, ma, pensare di dover abbassare vertiginosamente il proprio onorario, non sempre produce effetti positivi ai fini dell’analisi e crea indignazione negli addetti ai lavori per la svalutazione che si dà alla professione.

E' una questione che resta aperta, interessante sotto molti punti di vista, ma che forse è il caso di mantenere viva altrove.

lunedì 2 novembre 2015

Proiezione della propria angoscia

La proiezione 
<< Nel senso propriamente psicoanalitico, operazione con cui il soggetto espelle da sé e localizza nell'altro, persona o cosa, delle qualità, dei sentimenti, dei desideri e perfino degli "oggetti", che egli non riconosce o rifiuta in sé. Si tratta di una difesa molto arcaica che è in azione particolarmente nella paranoia, ma anche in modi di pensiero "normali" come la superstizione. >> 
(J. Laplanche, J.-B. Pontalis, 1993, Enciclopedia della Psicoanalisi - tomo secondo, Editori Laterza, Roma-Bari)

Altro termine preso molto in adozione dal linguaggio comune e discorsivo. La spiegazione di Laplanche e Pontalis (in realtà molto più articolata) è particolarmente esaustiva. Motivo per cui proporrei la funzione del cinema, come esempio di Psicoanalisi applicata, dove lo spettatore, mettendosi a favore del proiettore nella sala cinematografica, lo "adotta" come strumento per mettere fuori da sé elementi e pensieri non graditi, per così dire. In questo caso il destinatario non è una persona, ma si immagina il gruppo di co-spettatori, come un vasto contenitore in cui veder dissolta la propria angoscia.

martedì 27 ottobre 2015

Allattamento e accoglienza

<< L’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce fanno si che al seno vengano attribuite delle qualità che vanno ben oltre il nutrimento che esso in realtà fornisce. >>
(M. Klein, 1957, Invidia e gratitudine, Martinelli Editore, Firenze)
La madre che, durante l’allattamento, non percepisce il figlio come avido o ingrato, nelle manifestazioni e nelle richieste che esso produce, ma sarà capace e contenitiva, gli offrirà la possibilità di viversi la relazione in modo profondo e significativo. Al neonato arriverà il senso che ha confrontarsi con un altro, che può accogliere le proprie emozioni e i propri stati d’animo.

lunedì 26 ottobre 2015

Il Narcisismo

<< Il termine «narcisismo» deriva dalla descrizione clinica e fu adottato da Paul Näcke nel 1899 per descrivere l'atteggiamento di chi tratta il proprio corpo allo stesso modo con cui viene di solito trattato il corpo di un oggetto sessuale, per cui se lo contempla, se lo liscia, se lo accarezza, finché queste manovre non gli procurano un soddisfacimento completo. Spinto sino a questo grado, il narcisismo viene ad assumere il significato di una perversione che ha assorbito tutta la vita sessuale del soggetto, e che presenterà dunque quei caratteri che si rinvengono nello studio delle perversioni in generale. >> 
(S. Freud, 1914, Introduzione al narcisismo, E-newton classici)


In  realtà si tratta di un termine più che utilizzato, al giorno d’oggi,  per il fatto che esiste un grande giro di competizione sul piano dell’immagine che si vuol rimandare all’altro. La società del “tutto e subito”, che chiede di vivere pensando il meno possibile, stimola molto il piano narcisistico delle persone e cioè di quel bambino che vuol essere percepito al centro dell’universo dal genitore, un bambino che si sente insicuro, ma anche molto importante. Viene fuori quella modalità richiedente (da sé stesso!) che non conosce mezze misure, ma che allo stesso tempo si sente profondamente impotente e abusa, quindi, delle sue possibilità fisiche e psichiche confrontandosi con i propri limiti.  

martedì 29 settembre 2015

Elementi del setting, che non è un sit-in ... ma nemmeno un'amaca (parte seconda)

Vorrei riprendere un argomento che rispetto ai feedback ricevuti sul mio ultimo scritto, evidentemente non è stato sufficientemente chiaro ed esaustivo, tenendo conto anche che, visto il periodo dell’anno, è piuttosto attuale: la pausa estiva ed il pagamento delle sedute saltate dall’analizzando.

Generalmente un analista, all’inizio del rapporto analitico, definisce la distribuzione e la frequenza delle pause (festive ed estive) e la modalità di pagamento. Viene così stabilito che le assenze, ossia le sedute che l’analizzando salterà per propria responsabilità, dovranno essere comunque onorate. Viene da sé che, nel momento in cui si definisce una pausa, se, per quanto riguarda l’analizzando, questa non corrisponderà con la pausa definita inizialmente, verrà comunque necessariamente conteggiato il numero di sedute in quel lasso di tempo, nel pagamento mensile.

Di fatto è un argomento antipatico e difficile da digerire per molti, soprattutto in un momento storico come questo in cui si tende a supplire al bisogno immediatamente, senza darsi la possibilità di riflettere su come esso si sia creato. Un percorso di analisi prevede, in un certo senso, che l’analizzando prenoti, concordandole con l’analista, determinate ore in determinati giorni della settimana, dal momento in cui inizia al momento in cui termina il percorso stesso. Per questo motivo quello è uno spazio ed un tempo di quel paziente, fino al momento in cui si deciderà di interrompere o concludere l’analisi e chiunque chiederà allo stesso analista quello spazio non potrà essere accontentato. In questo modo l'analizzando rispetta gli accordi presi pagando tutte le sedute incluse nei tempi stabiliti e di conseguenza l’analista non potrà esprimere alcun giudizio su eventuali assenze del paziente e tantomeno arrabbiarsi!
Non da ultimo, si viene a creare una forma di responsabilità dell’analizzando rispetto al lavoro che svolge insieme all’analista, definendosi bene un ruolo.
Le pause degli analisti sono, in linea di massima definite con Natale, più o meno con la stessa cadenza delle scuole, ma c’è chi già dal 2 gennaio riprende i lavori; e, per quanto riguarda la pausa estiva, il mese di Agosto. Qualsiasi altra festività intercorrente, resta discrezione dell’analista rispettarla o meno. 
Se, un analista concedesse al proprio paziente di non pagare le sedute quando esso va in vacanza in periodi esterni alle pause definite, si creerebbe una forzatura dell’accordo, che porterebbe lo stesso analista a mantenere quelle ore di quel paziente, impegnate comunque per lavoro, ma senza riceverne il giusto compenso. Questo condiziona molto il rapporto analitico, non lasciando che ci sia fluidità di pensiero (insorgono inevitabilmente, consciamente o inconsciamente vissuti di rabbia e di angoscia,  nell’analista) e compromettendo il buon funzionamento dell’analisi.
Credo sia importante tener bene conto che in tutto ciò l’analista si configura più che mai con un profilo molto umano e meno super- di quanto si possa immaginare. Ci sono bisogni che egli ha, a cominciare da quelli concreti, come il denaro, da cui, dopotutto, parte anche questa regola analitica; un analista che non ha già le spalle coperte, da un punto di vista economico, dovendo star dietro regolarmente alle difficoltà dei propri pazienti incontrerebbe delle serie difficoltà.

Ci sono episodi e momenti di vita all’interno del percorso analitico che portano all’assenza dalla seduta e che a volte vengono considerati eccezionali, per cui l’analista può pensare di giustificare oltre che dare ad essi un senso analitico. Credo che questo si debba poter pensare strettamente legato al rapporto che si crea tra analista e analizzando, al “tipo” di analizzando, al momento dell’analisi in cui si  verifica e così via. Sindacare troppo su questo argomento, incastra la teoria psicoanalitica, non lasciando ad essa la possibilità di essere messa in pratica nel suo senso di libertà di pensiero.

Freud sosteneva molto serenamente che dovendo abbonare le sedute mancate per uno od un altro motivo, il numero delle assenze diverrebbe sempre più elevato e metterebbe a dura prova la possibilità di proseguire l’analisi, sia per mancanza di materiale che, aggiungerei, di rapporto!



giovedì 26 febbraio 2015

Elementi del setting, che non è un sit-in ... ma nemmeno un'amaca (parte prima)

Uno degli elementi basilari dell’analisi è il SETTING. 
Si tratta di quell’insieme di regole (in realtà sono ben poche!), che fanno si che l’analisi possa definirsi tale e che sono, necessariamente, stabilite in sede di quello che si definisce "contratto terapeutico", ossia quell'incontro di raccordo, che avviene tra analista e analizzando, alla fine di uno, due o tre colloqui di conoscenza e preliminari all'analisi. 
Tra i vari elementi del setting ce ne sono alcuni che più frequentemente incontrano e si scontrano con il "buonsenso" dell'analizzando. 
FREQUENZA SETTIMANALE
DURATA DELLA SEDUTA
PAGAMENTO E CONTEGGIO DELLE SEDUTE
ASSENZE
Rientrano nel concetto di SETTING anche tutta una serie di concetti, forse più, forse meno concreti, di cui cercherò di parlare in un altro post.

Le “violazioni del setting” per un analista sono fondamentali, perché rappresentano movimenti inconsci del paziente riferiti a qualcosa che evidentemente non riesce ad esprimere in altro modo.

Partiamo dalla FREQUENZA.
Un’analisi che possa definirsi tale prevede un minimo di tre sedute settimanali. È questo uno dei motivi principali per cui, spesso, una persona che sente un malessere psicologico, si orienta verso altri tipi di psicoterapia. L’analista non estremamente ortodosso e fermo sui concetti di base o che ritiene di poter prendere in carico un paziente, anche con una frequenza settimanale minore delle tre sedute, porterà avanti non più un’analisi vera e propria, ma una PSICOTERAPIA PSICOANALITICA. L’analisi ha bisogno di tempi regolari, costanti e continui, per costruire una relazione terapeutica valida e per favorire le libere associazioni di pensiero, regola fondamentale dell’analisi, e quindi la possibilità per l’Inconscio di esprimersi. Si è già detto come agli albori della Psicoanalisi, la frequenza delle sedute fosse, di cinque o sei alla settimana. La stessa Società Italiana di Psicoanalisi, attualmente,  non riconosce un analisi a meno di quattro sedute settimanali. Siamo arrivati alle tre sedute solo in tempi recenti, forse, visto anche lo stile di vita comune che muta e si fa sempre più concitato. In realtà, questo dovrebbe essere un incentivo a crearsi una nicchia nella burrasca della quotidianità, ma mi viene da pensare che l’uomo moderno abbia evoluto anche i tempi del proprio inconscio, pur di non viversi una giornata di 25 ore! 
La DURATA DELLA SEDUTA, è in realtà l'elemento del setting apparentemente meno conflittuale. Una seduta analitica dura dai 45 ai 50 minuti. La conflittualità emerge nel momento in cui l'analizzando effettua ritardi o tenta di prolungare la seduta nei modi più disparati.
Il ritardo è spesso dovuto ad “imprevisti”; uso il virgolettato perché nell’inconscio molte cose sono prevedibili e nella coscienza ci sono tanti modi per riuscire a proteggere il proprio spazio d’analisi. Il prolungamento della seduta invece (spesso legato allo stesso ritardo con lo scopo di controllare la seduta, ma anche l’analista che aspetta il paziente successivo), va dalla parlantina  senza pausa di respiro, alla ri-vestizione dettagliata, al pagamento con la richiesta di un resto da latteria e così via. La cosa importante, come per gli altri elementi del setting, è che la durata sia ben definita fin dall’inizio.
Veniamo al PAGAMENTO DELLE SEDUTE. Alcuni analisti presentano fattura alla fine del mese, altri effettuano il conteggio delle sedute insieme al paziente o ci si confrontano prima del pagamento stesso, molti chiedono ai pazienti di tenere il conto delle sedute effettuate mensilmente. In quest’ultimo modo, a parer mio, si responsabilizza l’analizzando e nel caso di errori si ha la possibilità di un confronto che sovente rappresenta un modo per comunicare qualche tipo di angoscia all’analista. Pagare un onorario è sicuramente, sempre … angosciante, di questi tempi, figuriamoci se in esso c’è il prezzo della comprensione delle proprie nevrosi…
Nel pagamento dell’onorario sono impliciti un’infinità di significati, a cominciare dal fatto che la relazione che si crea tra analista e analizzando, è una relazione, e in quanto tale suona strano che uno dei due membri di essa debba essere pagato per starci dentro! D’altra parte, se così non fosse, se l’analista non venisse pagato, ma mantenesse la sua presenza nel modo più comune, ci troveremmo a vivere una situazione di coppia, amicale, come ce ne sono tante, in cui tutti gli aspetti nevrotici e le problematicità restano perlopiù incontrollati, non garantendo una presa di coscienza e quindi una “trasformazione del pensiero”. Detto questo è importante considerare il pagamento, un elemento essenziale per dar senso a questo speciale incontro. 
È questo il motivo per cui anche le ASSENZE, in analisi, devono essere onorate. A molti pazienti questo suona strano…proviamo a pensare di dire a nostra madre, nel momento in cui non potessimo andarla a trovare come abitualmente accade, per qualsiasi motivo, valido o meno, razionale o no, che quel giorno lei non è nostra madre e ci sentiamo autorizzati ad interrompere il rapporto, anche se solo per qualche ora, accada quel che accada. Strano no? Se l’analista non pretendesse l’onorario della seduta saltata dal paziente è come se egli per primo non credesse in quello che sta facendo e non desse il giusto valore alla persona che ha di fronte anche in sua assenza. Non pagare la seduta saltata, vuol dire considerare quell’incontro uno scambio commerciale come tanti, che può anche starci, per carità! Ma a quel punto l’analista non potrà più essere tale e non sarà più capace di garantire quella profondità e quel vissuto, fondamentali per pensare insieme all’analizzando e quindi aiutarlo realmente. Al contrario, dovesse mancare l’analista (che è raro, ma accade!), la seduta non verrà corrisposta, ma non perché a quel punto viene meno il rapporto tra i due, ma perché piuttosto anche l’analista possa prendersi le responsabilità delle proprie assenze ed in qualche modo dell’operare del proprio Inconscio. È inteso, dicendo tutto ciò, che questo famigerato Inconscio lavora a livelli … impensabili, per cui anche un raffreddore, una gamba rotta od un semplice in-cidente, da entrambe le parti, devono potersi registrare come conseguenze più o meno dirette, del suo lavoro.

L’analizzando potrà spesso chiedere a questo punto di spostare o recuperare la seduta. Ora, io credo che rientrando o meno nel rispetto del setting nel mio lavoro o di qualsiasi altro analista, quella seduta spostata o recuperata, sulla base del rispetto dei patti presi in principio, non potrà mai essere considerata la stessa cui si è mancati, per un discorso di coerenza…non succede niente, per carità! Ma penso che sia, a quel punto, fondamentale riuscire insieme a dare un senso ed un significato a quel piccolo momento di incoerenza.

lunedì 26 gennaio 2015

FotoEmozioni

Dal 6 febbraio al 27 marzo (17,30/19,00) presso il Centro Clinico Percorsi verso Sé in collaborazione con NetFo, si terrà il gruppo FotoEmozioni, all’interno del quale la fotografia sarà utilizzata come mezzo di conoscenza di sè e per facilitare le relazioni interpersonali.  Il gruppo sarà condotto dal Dott. Attilio de Angelis e dalla Dott.ssa Floriana Di Giorgio.
Per partecipare al gruppo è necessaria la prenotazione



Dubbi

Nell’antica Grecia, la sospensione del giudizio, davanti al dato empirico, era definita Epoché (ἐποχή). Non dare per scontato ciò che sem...