martedì 4 settembre 2018

Dubbi

Nell’antica Grecia, la sospensione del giudizio, davanti al dato empirico, era definita Epoché (ἐποχή). Non dare per scontato ciò che sembra tale, ma lasciarsi prendere dal dubbio per lasciar fluttuare l’attenzione, è un concetto molto importante nella clinica della Psicoanalisi e fondamentale nella relazione psicoanalitica, poiché permette di cogliere sfumature e particolari spesso utili a generare intuizioni ed interpretazioni determinanti.

Crisi

Ci sono segnali, spesso estremamente evidenti e logici, che possono pres-agire o annunciare una tempesta. Spesso da essi ci si fa accompagnare verso lo stravolgimento, ignorandoli e abbandonandoci al piacere della ricostruzione dopo una crisi.

Rabbia

Quando l'angoscia non è tollerabile, spesso la rabbia ne prende il posto,permettendo il crearsi di situazioni che possano poi facilitare l'elaborazione del dolore.

Distanze


La funzione del corteggiamento, con la sua ritualità, serve a garantire la possibilità di evitare l’aggressività del potenziale partner. Si mette un’iniziale distanza, ci si studia, ci si scruta, si cerca di cogliere eventuali affinità. I pavoni usano la CODA, gli uomini TINDER...

Sandplay therapy

La SANDPLAY THERAPY o Psicoterapia attraverso il Gioco della Sabbia, è una forma di psicoterapia di matrice junghiana, che prevede l’utilizzo della sabbia e di una gran varietà di personaggi figurati e oggetti, attraverso cui il paziente può in-scenare situazioni rappresentative dei propri vissuti profondi, quasi come si farebbe attraverso il racconto di un sogno o di una fantasia. Si tratta di una tecnica molto usata con i bambini, ma non solo.

venerdì 9 marzo 2018

La Frustrazione

Viviamo un momento storico in cui ogni cosa viene concepita alla massima velocità; Internet e la velocità di trasmissione dei dati del proprio smartphone ne sono l'esempio più immediato. 
Di fatto l'ottenimento dei risultati e la realizzazione dei desideri nel modo più rapido possibile, tolgono al pensiero la possibilità di vivere la FRUSTRAZIONE, ossia l'effetto di quella sensazione di mancanza di quello che in quel dato momento ci serve. 
Ad occhio e croce, evitare la frustrazione quindi sembrerebbe qualcosa di positivo; in realtà questo sentire toglie molto spazio al Pensiero e ancor di più alla Fantasia, rendendone la funzione estremamente essenziale. Questo vuol dire che si diventa sempre meno capaci di produrre una riflessione che non vada necessariamente nella direzione dell'allontanamento del Dolore più prossimo, e l'unico scopo dell'Io è quello di non vivere l'angoscia che deriva dalla frustrazione, ancor prima del cercare di vivere il Piacere delle cose.

martedì 21 novembre 2017

Fattori e dinamiche psicologico-ambientali legati al concetto di suicidio.

Strettamente legata al concetto di Depressione è l’idea di Suicidio.
Dal punto di vista generico o come accezione comune, una persona arriva a suicidarsi nel momento in cui sente di non poter più sostenere il peso che la vita gli impone. 

La difficile gestione del denaro, l’incompatibilità nei rapporti di coppia, il dolore vissuto all’interno di una famiglia particolarmente richiedente e opprimente, l’abuso di alcol o di sostanze psicotrope, l’incapacità a tollerare la perdita di un affetto, sono tutti elementi che si configurano come più o meno incisivi nel momento in cui una persona decide di togliersi la vita.

Ad incastrarsi con questa serie di fattori psicologico/ambientali c’è spesso una causa di origine biologica, individuabile nello STRESS(strettamente legato alla disfunzionalità del sistema serotoninergico) e una causa genetica.
Per questo quella che può essere pensata come una fragilità psicologica di fondo, spesso è molto più complessa di quanto non possa sembrare e tanto più complessa è la possibilità di predire l’evento suicidario.


Da un punto di vista psicologico, chi arriva a compiere questo gesto estremo ha preso una forte distanza da sé stesso, una distanza tale da riuscire ad infliggersi una “forte punizione”. Molto spesso questa punizione ha velleità anche piuttosto ampie; mettendo in atto il suicidio si vuol instillare un senso di colpa in una persona da cui non ci si sente compresi, accolti, amati. Può essere un genitore come un partner, ma fondamentalmente una persona che viene percepita come causa di dolore e sofferenza.

La persona depressa, chi ha perduto non solo l’amore, inteso in senso universale come la possibilità di stare in relazione ed essere quindi corrisposto affettivamente, ma anche la speranza di sentirsi amato, può essere psicologicamente orientata a formulare un pensiero di annullamento di sé.
Una forte ansia, insonnia, senso generale di demotivazione e perdita d’interesse per i piaceri della vita, sbalzi d’umore e riduzione della capacità di concentrasi, sono alcuni dei segni che vengono considerati predittori del suicidio. Di fatto si è ancora molto lontani dalla possibilità di individuare realmente l’evento suicidario ma resta assodato che al di là di qualsiasi metodo o approccio medico o psicologico, è riuscire a salvare la vita di una persona.


Il suicidio è anche collegato ad alcuni turbolenti vissuti adolescenziali. La difficoltà a conciliare il proprio pensiero con le aspettative che gli altri possono avere e con quello che realmente si è in grado di produrre, crea dei vuoti di stima nella persona che, anche sulla base della propria storia di vita passata, se ci sono delle fragilità, una serie di delusioni ricevute, un trauma più o meno recente, favorisce lo “spegnimento del pensiero” per dar luogo a quello che viene definito anche “atto estremo”. Quando si perde, anche per poco, il desiderio, la motivazione a pensare ad elaborare e viversi le emozioni a 360 gradi cercando di integrare ciò che c’è di positivo con quanto c’è di negativo nella quotidianità, perché non ci si sente meritevoli né degni di attenzioni, ma solo di critiche distruttive e aggressioni, ci si schiera al di là di sé stesso per iniziare a pensarsi come altro e quindi come un oggetto che si può eliminare. è la rinuncia al pensiero quindi per lasciar spazio all’atto, appunto, a quello che può essere solo “fatto”, agito, perché qualsiasi esitazione non può che produrre altra angoscia.


Il fenomeno del Nonnismo nelle caserme ha fatto molto parlare di sé per i casi di suicidio che ha prodotto; ora è molto meno frequente o poco se ne parla, se non altro per il fatto che è stato tolto l’obbligo del servizio militare. Ma, al di là del fatto che avvengano o meno in quei luoghi, questo tipo di situazioni frustranti ha modo di perpetrarsi nello stile, anche in altri contesti. Il Bullismo ma anche il Mobbing sono situazioni assimilabili a quelle che potevano prodursi in caserma. Nel primo caso si prende in considerazione una fascia d’età che può essere fatta coincidere con quella riferibile alla frequenza scolastica; nel caso del Mobbing si fa riferimento più ad un contesto lavorativo. In entrambi i casi avviene la vittimizzazione e l’esclusione di un individuo nel gruppo di simili, attraverso condotte offensive e denigranti ripetute. Ansia, insicurezza nelle attività quotidiane, difficoltà di concentrazione, sono alcuni dei segnali che si manifestano nelle vittime che, a lungo andare, sentono sempre più difficile mantenere il peso dell’onta di cui sono stati investite e se non si riesce ad infrangere il muro dell’omertà, non si può che “prendere distanza da sé stesso”.

In modo piuttosto analogo quella sensazione di incomprensione che a volte porta al suicidio, può essere individuata nell’artista. Chi, attraverso un’opera d’arte cerca di esprimere dei concetti, delle emozioni, un pensiero, cui evidentemente non è dato di prendere forma altrimenti, incorre nel suicidio, vedendo fallito il suo intento, quando il suo messaggio risulta incompreso o travisato. 

L’insostenibilità di essere pensato diversamente da come ci si sente, trae le sue radici profonde nella stima che si nutre verso sé stesso. Nel momento in cui questa stima è scarsa, si dà molto valore a come e quanto si è pensati, quanto si è nella mente dell’altro per così dire, e risulta intollerabile qualsiasi altro pensiero proprio perché evidentemente in conflitto.

giovedì 19 ottobre 2017

Angoscia e stati depressivi

L’esasperazione del pensiero ansiogeno porta un forte senso di angoscia di perdita, ossia quello stato d’animo che va dalla paura di non essere voluto bene, a quella di perdere chi ci vuole bene. Molto spesso, per questo, ansia e depressione sono strettamente collegate. Il senso di smarrimento che ha chi si vive un attacco d’ansia o comunque un’ansia che accompagna la quotidianità, è molto spesso legato ad un vissuto di perdita. 
Per perdita si intende non solo un lutto o la perdita di qualcosa di particolarmente caro, ma anche un cambiamento. Come si dice “Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova”; e questo vecchio proverbio sembra molto calzare il tema che stiamo affrontando.


La perdita di un punto di riferimento importante oltre a provocare uno stato depressivo, induce anche ansia e panico laddove si ha la sensazione di non avere gli strumenti utili ad affrontare la vita nelle sue avversità e problematiche.  In modo piuttosto circolare l’ansia nel condizionare la giornata di una persona, stringe in un forte senso di impotenza e nella sensazione di non avere più il potere sulla propria vita provocando angoscia e depressione.

L’eventualità che ciò che è stato perduto sia solo l’inizio di una lunga serie di perdite fa quindi parte di un pensiero abbastanza frequente ed, in casi estremi, porta ad un vissuto forte di morte e disintegrazione.
Nella vita questa angoscia e quest’ansia possono rivelarsi in diversi modi e intaccare lo stato d’animo e i pensieri dell’individuo a più livelli, compromettendo funzioni o situazioni altrimenti vivibili. Si può avere per questo un calo del desiderio sessuale, un’inspiegabile crisi di coppia o esistenziale, una difficoltà legata all’accettazione del proprio orientamento sessuale, difficoltà relazionali in genere, l’attivazione di comportamenti legati all’abuso di sostanze o comunque a qualcosa che renda dipendente e comprometta la propria autonomia, un generico senso di mancanza di autostima, problemi legati alla propria identità e al proprio ruolo genitoriale e così via.

Molto spesso le cause di queste insicurezze, oltre a situazioni conflittuali del momento, hanno la loro origine e le loro radici in situazioni non elaborate nel passato ed in particolare nell’infanzia che vanno riprese con tempi e modi adeguati al problema.

martedì 26 settembre 2017

Ansia e attacchi di panico

Una delle problematiche più frequenti di questo tempo è quella legata agli stati ansiosi, che possono riguardare il timore di viversi situazioni di inadeguatezza riferibili in ambito sociale in primis, ma anche ad un pensiero più personale e privato. Si parla di tutta quella gamma di paure che vanno dall’idea di essere costantemente giudicato a quelle di essere anche conseguentemente punito e deprivato di qualcosa.
Non sempre l’ansia sfocia nell’attacco di panico, ma può limitarsi a generare uno stato d’animo angoscioso o un comportamento che comunque compensi quella tensione. Si parla quindi perlopiù delle seguenti problematiche:
Accumulo compulsivo 
Agorafobia 
Anorgasmia
ansia
Ansia da prestazione  
Autolesionismo 
Claustrofobia 
Cleptomania
Disturbi alimentari
Disturbi dell'umore 
Disturbi sessuali
Disturbo ossessivo compulsivo 
Disturbo post traumatico da stress 
Fobie 
Insonnia 
Malattie psicosomatiche
Maternità difficile 
Problemi scolastici 
L’attacco di panico o attacco d’ansia nello specifico è il momento di massima intensità che si può raggiungere durante uno stato ansioso, al punto da coinvolgere anche il corpo con la manifestazione di sintomi quali: vertigini, tremori, sudorazione, tachicardia e soffocamento.
Ma la cosa che più di ogni altra caratterizza l’attacco di panico è una forte sensazione di vuoto e di morte incombente.
L’attacco di panico è un vissuto talmente forte da rendersi esso stesso causa di tensione e paura poiché, apparentemente non si manifesta con segnali anticipatori, né, chi lo vive è in grado di identificarne la causa razionale della sua origine. Per questo chi soffre di attacchi di panico molto spesso vive con l’angoscia dell’arrivo improvviso di questo forte senso di tensione e sprofondo.
In una situazione di sofferenza di questo tipo è difficile riuscire a pensare come e a chi chiedere aiuto e si cerca qualcosa che dia la sensazione di un’immediata risoluzione del problema. L’utilizzo di farmaci ansiolitici è molto diffuso e che sia prescritto da uno psichiatra o da un medico generico cambia poco. Di fatto l’effetto che sortisce questo tipo di rimedio, ha un valore molto relativo dal punto di vista di una soluzione definitiva. Vuol dire che una terapia farmacologica di questo tipo, di fatto rende più “tranquilli”, si ha meno la sensazione di tensione caratteristica di chi ha paura che l’attacco di panico lo colga da un momento all’altro, ma oggettivamente non aiuta a sviluppare un pensiero sulla propria ansia, ma le dà un posto d’onore nella classifica dei “mostri invincibili”.
L’ansia che porta all’attacco di panico è, in qualche modo, segno di una perdita di uno o più punti di riferimento di un certo peso nella propria vita; il farmaco ansiolitico, e chi lo prescrive, diventa un degno sostituto momentaneo di quella certezza perduta. Per questo, già riuscire a dare la … forma di una persona a ques’ancora di salvezza e non investire tutta la propria speranza nel farmaco, è fondamentale.

La psicoanalisi o la psicoterapia psicoanalitica rivestono un ruolo importante in questo senso, dando all’ansia e ai suoi effetti, uno spazio di ascolto e di ricostruzione delle sue origini, necessario per l’attivazione di una funzione della persona di quello che tecnicamente si chiama esame di realtà.

lunedì 24 luglio 2017

Dalla selce al silicio

Mass medium o “mezzo di comunicazione di massa” è un concetto che al giorno d’oggi sta acquistando sempre più valore nella vita quotidiana, tanto da aver indotto alcuni studiosi a ritenere che lo specifico mezzo adottato, possa avere un’influenza particolare rispetto al modo di pensare di chi lo usa (McLuhan, 1967). 
Dalle prime modalità orali di trasmissione della cultura fino alle avanzatissime metodologie elettroniche che vedono in Internet, se non l’apice, probabilmente una meta particolarmente ambita da anni, sono trascorsi oltre sei millenni : stampa, radio, telefono, televisione e tutti gli altri mass media si sono susseguiti periodicamente per facilitare la trasmissione delle informazioni da un paese all’altro, da una persona all’altra e ognuno di questi mezzi ha sempre inciso nella cultura del periodo in modo  spesso determinante. 
Basti pensare all’uso che è stato fatto della maggior parte di essi in tempo di guerra per comprenderne il valore politico, o all’utilizzo commerciale su larga scala per determinarne il peso sociale, o ancora al significato metaforico per individuarne l’importanza legata ad esso in senso socio-antropologico. 
La distinzione secondo un costrutto quasi classistico che fa Umberto Eco tra apocalittici e integrati, è prova di come, rispetto ai secoli precedenti, nella nostra epoca, l’uomo non abbia mutato modo di pensare in conformità al trascorrere del tempo e all’acquisizione di nuove esperienze. 
Secondo Eco infatti, fin dalla creazione della scrittura, primo mezzo di comunicazione, l’uomo ha sempre avuto modo di dividersi in due scuole di pensiero rispetto all’accettazione o meno di una nuova forma di comunicazione : gli apocalittici e gli integrati per l’appunto.. Gli apocalittici sono coloro che vedono il medium rivoluzionario come qualcosa di pericoloso ed incombente sull’incolumità della società in modo potenzialmente catastrofico; contrariamente gli integrati, risultano essere particolarmente benevoli nei confronti del “nuovo” e si adattano facilmente sfruttando appieno le risorse che da esso derivano. Un esempio calzante, in particolare per la prima posizione, potrebbe essere il fatto che quella che nei primi anni di trasmissioni radio venne definita la febbre della radio, non è poi del tutto dissimile come concetto a ciò che oggi coincide con l’Internet Addiction; una particolare forma di dipendenza telematica che colpisce chi riesce a stare collegato ad Internet per oltre 40 ore settimanali (Siracusano, Peccarisi, 1997). 
Entrambe le posizioni, secondo Postman, sono estremiste e non rendono fede ad una visione oggettiva del fenomeno ; per cui esso può essere considerato integrando entrambi i punti di vista. Una visione dicotomica in questo senso non rende fede a quello che, in termini pratici, esso comporta ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione ; non è l’una cosa o l’altra, è l’una cosa e l’altra
Come zelanti profeti con un occhio solo, sia gli apocalittici che gli integrati si limitano gli orizzonti e diffondono nella società una confusione di fondo rendendo incerta l’ascesa del nuovo medium, secondo un regolare processo di assimilazione basato sul semplice e incondizionato interesse. 
Uno dei pericoli più temuti in riferimento all’allargamento del raggio d’azione del medium, è quello della massificazione e della possibilità che si crei un’uniformità di pensiero attraverso un uso strategicamente politico o commerciale dello stesso. 
Con la diffusione della stampa e della radio si sono avute le prime forme di pubblicità che, per quanto attualmente possa essere definita come una nuova forma d’arte, ha contribuito effettivamente a fornire all’utente un dato standard di riferimento che lo assimilasse a tutti gli altri inducendo una sorta di livellamento culturale (Losito, 1994). 
La posizione occupata dalla pubblicità in ambito sociale e rispetto alla teoretica dei mass media, è molto particolare, infatti essa, secondo Losito, assume fin dagli inizi un ruolo determinante sia come modalità specifica di comunicazione e come “genere” tendenzialmente autonomo, sia come parte integrante dell’offerta mediale, sia, ancora, come sostegno economico dei media che utilizza come veicoli
Sembra quindi tutto strettamente legato ad una dinamica di forze e accadimenti sociali inevitabilmente connessi al progresso in ambito mediale. 
Sul “rischio” della massificazione che si profila ci si è pronunciati in conformità ad un approccio comportamentista, sulla base dello schema di condizionamento stimolo-risposta, e psicoanalitico in riferimento a teorie motivazionali che vedono dietro la scelta del prodotto da parte dell’utente, ampie ricerche atte a cogliere il desiderio inconscio in termini simbolici e a promuovere la diffusione di elaborate strategie di persuasione. 
Insomma, l’idea di George Orwell in “1984”, di una società tenuta sotto ossessivo ma “adorabile” controllo attraverso una tecnologia informativa relativamente sofisticata rispetto al punto cui poi è effettivamente arrivato il progresso scientifico nella nostra epoca, seppure possa sembrare paradossale rimane comunque un’idea non del tutto inconfutabile. 
Allo stesso tempo però, sostiene Postman, non si può negare il fatto che l’avvento dei media elettronici, ossia di quei mezzi che hanno permesso una simultaneità dell’informazione in un raggio d’azione molto più ampio rispetto a quello che poteva avere la tradizione orale o chirografica, abbia sostanzialmente rivoluzionato il modo di concepire l’atto stesso del comunicare qualcosa. 
Il concetto di comunicazione che fino a poco prima dell’invenzione del telegrafo, poteva avere un significato prevalentemente geografico, inizia a mutare con il progresso in campo tecnologico, nel senso di movimento di informazioni. 
La radio ha iniziato l’uomo a quella che con l’andar del tempo è divenuta una necessità, ossia la possibilità di starsene da solo e contemporaneamente di sapere quello che succede nel resto del mondo. 
La dimensione gruppale resa dalla comunicazione attraverso la chirografia e la stampa, o ancora prima attraverso la memoria, assume significato ben più ampio nel momento in cui viene proposta l’installazione di un apparecchio radio in ogni famiglia. 
Il vecchio focolare domestico inizia a perdere la sua funzione di medium familiare per lasciare il posto ad un “aggeggio” che ha poco di termico, ma ha il potere di rendere chi lo usa “parente del mondo”. 
I moderni mass media si sono susseguiti con intervalli di tempo molto più ristretti di quanto si fosse immaginato, rispetto all’attesa durata circa cinque millenni che ha sancito il passaggio dalla chirografia alla stampa e l’avvento della televisione si può dire che concluda il concetto che da Ong  viene definito di oralità secondaria. 
L’idea di Ong fa riferimento al fatto che, analogamente al periodo in cui la trasmissione orale risultava il medium principale, se non il solo, per la divulgazione dell’informazione, con i nuovi media si è tornati ad impostare l’idea di comunicazione in modo meno isolante e che inducesse nell’utente un maggior senso di appartenenza alla comunità del mondo. 
Differentemente dal primo tipo di oralità, propria di Omero e dei suoi discendenti, l’oralità secondaria si manifesta particolarmente legata al concetto di parola scritta in quanto basa su di essa il proprio patrimonio culturale-informativo concernente tutto quell’insieme di regole e applicazioni necessarie all’uso dei nuovi strumenti di uso comune. 
Manuali d’uso, libretti d’istruzioni, compendi per la manutenzione, sono strumenti di minor rilievo, ma essenziali all’uomo per la partecipazione alle nuove forme di comunicazione ; ciò accresce il senso di consapevolezza di certi limiti, ma facendo riferimento ad un mezzo che finisce poi per l’unificare gli utenti ad una grande massa mediatica. 
A qualcosa di simile si riferisce probabilmente McLuhan quando parla di villaggio globale
Il fatto poi che dalla radio si sia passati alla televisione e da questa in seguito ad Internet, è testimonianza di una progressiva capillarizzazione dei media e quindi di una sempre maggiore esigenza di rendere l’informazione alla portata di tutti. 
Come sostiene Meyrowitz, l’essere a parte di avvenimenti e di dinamiche politiche, sociali ed economiche induce nell’uomo l’opportunità di crearsi un’opinione su argomenti che fino a qualche tempo fa non pensava lo riguardassero direttamente. 
Se questo significa democratizzare non è escluso che significhi anche investire e produrre nell’utente una sorta di indigestione di “materiale informativo” che potrebbe in fin dei conti sortire un effetto contrario provocando una diminuzione dell’attenzione. 
Queste osservazioni sono il risultato di una ricerca svolta da alcuni psicologi inglesi che hanno rilevato un calo della soglia di attenzione necessaria all’elaborazione critica dell’informazione in seguito all’aumento delle notizie fornite (Lewis, 1997). 
David Lewis, uno dei promotori della ricerca, ha definito questa come una sindrome da affaticamento informativo, riscontrando in essa sintomi fisici quali : problemi digestivi e cardiaci, ipertensione, disturbi del sonno, disturbi sessuali; e a livello psicologico: forte irritabilità, diminuzione della concentrazione, del tono dell’umore e della motivazione in genere. 
Lo studio è stato condotto su un campione di 1300 manager da cinque paesi diversi (USA, Gran Bretagna, Australia, Hong Kong, Singapore) ed un terzo degli intervistati ha dichiarato esplicitamente di avere problemi di stress connessi ad un eccessiva dose di informazioni, oltre i due terzi ha evidenziato difficoltà nella vita relazionale ed il 43% ha evidenziato difficoltà nel prendere decisioni. 
D’altra parte Derrick de Kerckhove, allievo ed erede più eminente del pensiero di Marshall McLuhan, rimane attaccato alla concezione per cui il cervello umano è in grado di andare ben oltre queste possibilità e il padroneggiare una grande quantità di dati è attività costante di esso e caratteristica principale. 
Il pensiero di de Kerckhove ad ogni modo sembra riferito maggiormente ad un’idea di ricezione e impiego attivi e comunque volontari, da parte degli utenti, della grande massa di informazioni che viene proposta ; la ricerca di Lewis, seppur indirizzata, come detto, ad un campione molto ampio, è basata sulle testimonianze di soggetti facenti parte del settore manageriale e quindi necessariamente sottoposti ad un sovraccarico informativo. 
Rimanendo sul punto di vista di de Kerckhove, le moderne tecnologie altamente interattive rendono i processi di utilizzo dei media molto simili alle modalità di funzionamento proprie della nostra mente e ciò che piuttosto va preso in considerazione rispetto agli effetti che può avere l’iperinformazione, è un processo unificativo e democratizzante cui si sta andando incontro proprio attraverso la divulgazione dell’informazione, ora non solo accessibile, ma anche rafforzabile da tutti in quanto c’è sempre più libero accesso partecipativo ad essa. 
In questo senso l’idea anticipatoria di McLuhan di una mutazione del tessuto sociale, politico e relazionale in senso unificante, grazie ad un raggiungimento di alti livelli tecnologici che permettano il superamento delle comuni barriere in modo relativamente pratico, sembra trovare conferma con l’avvento dei nuovi media elettronici. 
L’atmosfera essenzialmente familiare creata dal mass medium, la capacità che questo ha di far sentire l’individuo membro di un grande gruppo, pur trovandosi in una parte del mondo particolarmente isolata ad esempio, sembra coinvolgere inevitabilmente anche chi non fa di esso un uso diretto. 
Se è vero infatti che per usufruire del nuovo strumento è necessaria non solo una certa preparazione tecnica, ma anche e soprattutto una disponibilità economica che costantemente permetta aggiornamenti, revisioni o, nel “peggiore” dei casi, vere e proprie rivoluzioni radicali, non accessibili a tutti a causa dei costi elevati caratteristici di un prodotto “giovane”, è anche vero che i media si pubblicizzano e si diffondono reciprocamente. 
Per cui la conoscenza che si fa di Internet, ad esempio, attraverso la televisione o la radio, contribuisce, seppure creando confusione e luoghi comuni, ad alimentare fantasie, illusioni e aspettative che generano un senso di inclusione e coinvolgimento generale. 
La prospettiva che ci viene costantemente posta davanti di una società governata elettronicamente, in cui s'infrange ogni tipo di barriera che sia spaziale, temporale, linguistica o fondamentalmente materiale, sembra trovare con i nuovi media primario argomento d’informazione-comunicazione e d’altra parte la velocità con cui essi vengono inventati e prodotti e il corrispondente successo con cui si diffondono, lascia presupporre che tale argomento risulti essere un effettivo bisogno cui l’uomo non può ormai più fare a meno, essendo entrato in un circolo che lo vede gestore della sua vita relazionale e informazionale attraverso un computer. 

Bibliografia
de Kerckhove, D., (intervista con), (1996), Scazzola, A., Ve lo posso garantire io, in Internet non ci si perde, Telema, 4, 42-45. 
Eco, U., (1964), Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano, 1994.
Lewis, D., (1997), Information Overload.
Losito, G., (1994), Il potere dei media, La Nuova Italia, Roma. 

McLuhan, M., (1964), Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano, 1967. 
McLuhan, M., (1967), Il medium è il massaggio, Feltrinelli, Milano, 1968. 
Meyrowitz, J., (1985), Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1993. 
Monteleone, F., (1992), Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia. 
Ong, W. J., (1982), Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986. 
Orwell, G., (1948), 1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1989. 
Postman, N., (1992), Technopoly. La resa della cultura 
alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993. 
Siracusano, A., Peccarisi, C., (1997), Internet Addiction Disorder : note critiche, Bollettino di aggiornamento in Neuropsicofarmacologia, 62, 1-3. 


mercoledì 19 luglio 2017

"Stati onirici nella comunicazione telematica"

Un lavoro scritto negli anni in cui Internet iniziava a prendere piede in Italia. La ricerca psicologica e psicoanalitica era quanto mai attiva in tal senso. Alla luce di quanto detto e ripetuto sull'argomento in questione, il punto di vista psicoanalitico espresso da Mario Trovarelli è quanto mai attuale e arguto.

http://www.oocities.org/sicotema/martro_1.htm


Dubbi

Nell’antica Grecia, la sospensione del giudizio, davanti al dato empirico, era definita Epoché (ἐποχή). Non dare per scontato ciò che sem...